La rivoluzione degli Hashtag
Il potere del cancelletto nella comunicazione online: chi lo ha inventato e quando?
Twitter, Facebook, Instagram, Pinterest e da poco anche LinkedIn: i social network che utilizzano gli hashtag come strumento di connessione tra i vari contenuti degli utenti sono ormai tantissimi, al punto da aver trasformato il caratteristico ‘cancelletto’ – al pari della storica ‘chiocciolina’ @ – in un segno distintivo della comunicazione online. Ma chi ha inventato l’hashtag e lo ha reso famoso sul web?
Anzitutto: che cosa sono gli hashtag? Gli hashtag sono una specie di etichetta che gli utilizzatori dei social media inseriscono nei contenuti postati per renderli facilmente rintracciabili. Ogni hashtag corrisponde a un determinato argomento ed è composto dal carattere #(cancelletto) a fianco della parola chiave che si intende trasformare in etichetta: ad esempio #Tiscali. La presenza del cancelletto, infatti, trasforma la parola in un vero e proprio link a tutti i post e le discussioni in cui quell’hashtag è stato inserito. In questo modo si possono facilmente raggruppare in forma di elenco migliaia di contenuti riguardanti un singolo topic.
Il primo social network a utilizzare gli hashtag è stato Twitter e il relativo sistema ne rappresenta da tempo una delle sue caratteristiche più importanti, non solo per “ordinare” i post e le discussioni, ma anche per stabilirne il grado di popolarità. Tuttavia al suo esordio, lo stesso social network dell’uccellino blu non credeva particolarmente nelle potenzialità comunicative degli hashtag: la loro unica caratteristica era quella di evidenziare la parola contrassegnata dal cancelletto. Fu il “guru” digitale Chris Messina, in un tweet del 2007 a suggerire l’uso degli hashtag per identificare un gruppo di argomenti e a coniare in questo senso il primo vero hashtag della storia: #barcamp. Due mesi dopo, l’imprenditore Nate Ritter creò dal nulla l’hashtag #SanDiegoFire per raggruppare i tweet e le notizie riguardanti uno spaventoso incendio scoppiato nella città di San Diego, creando, di fatto, un etichetta utile per tutti coloro che cercavano aggiornamenti sull’incendio.
Soltanto due anni dopo, però, Twitter abilitò l’aggregazione dei tweet per hashtag e la loro ricerca nel motore di ricerca interno. Il resto è storia: gli hashtag hanno dato il via al fenomeno dei Trending Topic (anche localizzati per paese), cioè gli argomenti più “caldi” del momento, identificati in base al numero di relativi tweet, che oggi – oltre che per la copertura live di numerosi eventi, come show tv e dibattiti politici – vengono usati anche per portare avanti battaglie per diritti civili e sociali – ad esempio #OccupyGezi, utilizzato in occasione delle proteste in turchia del 2013 per difendere la libertà di parola e il diritto di riunirsi in corteo, o il famosissimo #JeSuisCharlie.
Dopo Twitter anche gli altri social network hanno capito il potenziale degli hashtag e li hanno adottati per aggregare i propri contenuti: alcuni hanno avuto molto successo (Instagram, Tumblr), altri meno (Facebook, Google Plus). Quello che è certo è che ormai gli hashtag sono parte integrante dell’universo dei social media e in un panorama di contenuti enormemente vasto rappresentano probabilmente il migliore strumento per orientarsi al suo interno.
Una curiosità: l’origine del simbolo # non è chiara, per alcuni deriverebbe da una antica abbreviatura della lingua latina, la N maiuscola sbarrata, utilizzata per indicare la parola numerus (numero), per altri rappresenta un’evoluzione del simbolo ℔, usato per indicare il termine Libra pondo, cioè la libbra. Il carattere veniva sbarrato per non far confondere la lettera minuscola “l” con il numero 1. Col passare degli anni il simbolo ℔ sarebbe stato via via ridotto a una sovrapposizione di due linee orizzontali “=” con altrettante linee verticali // .
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