La comunicazione scritta e il potere degli Emoji
Tutto quello che vorreste sapere sugli ideogrammi ‘eredi’ degli emoticons
Non è un mistero che la comunicazione scritta negli ultimi anni sia cambiata tantissimo grazie ai nuovi strumenti tecnologici: quando scriviamo e-mail e chattiamo tendiamo a usare un sacco di punteggiatura per chiarire il tono del testo ed evitare malintesi. Ricorriamo anche all'uso di emoticon e, da qualche tempo, anche di emoji: questi ultimi sono ideogrammi e smiley utilizzati nei messaggi elettronici sui cellulari giapponesi dalla fine degli anni '90 e recentemente adottati da Apple, Android e vari social network come Facebook e Twitter. La parola Emoji (絵文字) in giapponese deriva dall'unione delle parole Immagine, Scrittura e Carattere.
Il grande successo degli emoji è dovuto principalmente a tre fattori: essi sono graficamente più accattivanti degli emoticons (che sono composti da segni di interpunzione, numeri e lettere), sono più facili da inserire nel testo (sono composti da un solo carattere) e inoltre da qualche anno sono stati incorporati in Unicode, lo standard internazionale dei caratteri utilizzati nela scrittura a prescindere dalla piattaforma e dalla lingua usata. Questo significa che gli emoji che entrano nello standard Unicode possono essere utilizzati e visualizzati senza problemi sui principali sistemi operativi e software di instant messaging che aderiscono all’Unicode consortium.
Chi desidera proporre l’adozione di un nuovo emoji deve sottoporre la sua proposta all’Unicode Consortium, il quale può impiegare molti mesi prima di approvare o respingere una richiesta. Mediamente il consorzio approva non più di 60/70 nuovi emoji ogni anno: l’ultimo rilascio è avvenuto il 6 giugno 2016 e ha riguardato 72 nuovi emoji. Il motivo di tanta prudenza è sia tecnico che di opportunità: poiché il consorzio non disegna direttamente gli emoji (fornisce solo una bozza e una descrizione) è importante che i simboli proposti siano abbastanza semplici da poter disegnati senza grosse differenze - un esempio è offerto dall’emoji della pistola, pressoché identico in tutte le piattaforme tranne sui sistemi operativi Microsoft, dove ha invece l’aspetto di una irreale arma spaziale.
Inoltre ogni immagine viene valutata con attenzione in base ai possibili significati che essa potrebbe assumere nelle varie culture: ad esempio un rischio difficilmente eliminabile è quello legato alle interpretazioni “sessuali” di determinate immagini, una caratteristica che varia tantissimo da una cultura all’altra. Mark Davis, co-fondatore e presidente dell'Unicode Consortium, ammette che non esiste un modo condiviso per interpretare gli emoji, nonostante il loro massiccio utilizzo. “Quando ti esprimi con gli emoji puoi anche credere di essere stato il più preciso possibile, ma troverai sempre qualcuno che interpreterà quei simboli in un modo completamente differente dal tuo”.
In effetti, in un recente studio, alcuni ricercatori dell'università del Minnesota hanno appurato che il 25% delle persone interpreta gli stessi emoji in maniera decisamente diversa, persino sullo stesso dispositivo. La confusione aumenta quando le medesime "faccine" vengono renderizzate su diverse piattaforme. Tuttavia – riconoscono gli stessi ricercatori – non è detto che la colpa sia necessariamente degli emoji. 'La verità è che di base le persone comunicano spesso male' dice uno degli autori dello studio, Jacob Thebault-Spieker. Certamente le varie piattaforme potrebbero fare di più per standardizzare maggiormente la grafica dei vari emoji: questo aumenterebbe la comprensione tra gli utilizzatori, anche se non potrà mai eliminare il rischio di fraintendimenti, frutto delle sensibilità dei singoli e di schemi culturali consolidati.
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